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Infernal Affairs

Per anni il cinema orientale è stato accolto in Occidente da una strana energia. Sebbene acclamato dalla critica e dai festival, poche volte raggiunge le sale europee, men che meno quelle italiane.

Tuttavia, le pellicole di autori di culto in Asia quali Stephen Chow, Kim Ji-woon e Shin’ya Tsukamoto (nomi che in Occidente suonano come delle lettere messe a caso) non sono assolutamente definibili come “dimenticate”! Si tratta di registi che sbancano ai botteghini dei loro Paesi d’origine quanto in Italia Checco Zalone e Roberto Benigni. La piccola differenza è che in Asia vivono circa due miliardi di persone!


Ma perché è importante il cinema orientale? Perché la cinematografia occidentale è in crisi. Si cerca di portare la gente in sala con nuove e banali tecnologie come il Dolby Surround, il 4K e il fallimentare 3D. Oppure si provano “operazioni-nostalgia” con reboot, remake, sequel e film di supereroi confezionati tutti allo stesso modo. Dove sono le storie nuove? Come mai i film di oggi sembrano tutti uguali? Possibile che il cinema abbia perso tutta la sua vitalità? La risposta è no. Esiste ancora un cinema nuovo, capace di dare un nuovo slancio all’industria e si trova in Estremo Oriente.

In realtà da sempre il cinema dell’Est ha avuto qualcosa di diverso rispetto a quello occidentale. Per tutto il Novecento, grandi registi come Kubrik, Tarantino, Scorsese (giusto per fare qualche nome) non hanno mai nascosto l’influenza che alcuni loro insigni colleghi asiatici hanno esercitato sulla loro opera (Bruce Lee, Kurosawa, Miike, ecc.). Ma questa ingombrante presenza del cinema orientale soltanto negli ultimi anni sta riscuotendo i giusti consensi anche in Occidente grazie al successo di alcune pellicole (Un affare di famiglia, Parasite, La tigre e il dragone). È sbagliato però ridurre tutto ad un limitato numero di campioni di incassi, perché l’Oriente ha molto di più da offrirci.

“Infernal Affairs” è un grande film nascosto all’Occidente che ho scelto non soltanto perché meritevole, ma anche perché rappresenta un ottimo esempio della differenza tra il nostro modo di fare cinema e quello orientale.


Cominciamo con qualcosa di semplice:

Una croce è un simbolo religioso, ma è anche diventato un simbolo culturale. E, al di là del significato teologico e dogmatico, cosa rappresenta per noi a livello culturale? È la massima dimostrazione del Bene: Gesù, per i nostri peccati, si è sacrificato su una croce.

Da quel momento in poi, da quel sacrificio universale, in Occidente ha cominciato a serpeggiare l’idea di una netta contrapposizione morale tra bene e male, sostituendosi al rispetto dei costumi e all’utilitas romana.

La morte di Gesù ha oggettivamente cambiato la Storia dell’Occidente, ma ha anche cambiato le sue storie. L’idea del Bene supremo e del Male supremo, del Paradiso e dell’Inferno è stata declinata nella coscienza comune in uno schema narrativo ricorrente: il buono combatte e vince sul malvagio.

E’ vero, col tempo l’Occidente è andato ben oltre questa blanda ricetta e oggi non è possibile ridurre a questo l’intera narrazione europea e statunitense. E’ l’orizzonte comune che ci coinvolge tutti in quanto occidentali. Dalle prime favole della buonanotte fino ai primi temi della scuola elementare gli elementi sono sempre gli stessi: protagonista, cattivo, oggetto magico, aiutante del protagonista. È una base da cui poi ci si muove in tutte le direzioni, creando antieroi, colpi di scena, personaggi ambigui, ripensamenti e riscatti. Ma queste tecniche sono deviazioni dal percorso iniziale e, se un finale tragico ci colpisce tanto, è perché siamo assuefatti dall’happy ending.



Ora passiamo all’Oriente:

Questo è il Tajitu, simbolo della religione taoista cinese. E’ un simbolo religioso anche questo e, come la croce, è un segno culturale portatore della coscienza di un popolo. Il Tajitu esemplifica perfettamente l’idea orientale del Bene e Male. Due forze contrapposte, nette, come per noi occidentali, eccetto per due palline di colore inverso rispetto al rispettivo cromo sullo sfondo. Il Tajitu ci comunica che c’è del Bene nel Male e viceversa.

Eccola, dunque, la differenza culturale che è propria dell’Asia e che porta tutte le opere orientali, soprattutto il cinema, ad essere tanto particolari e innovative agli occhi dell’Occidente.

Nel loro modo di fare cinema, la divisione netta tra bene e male non esiste e, nei loro film, quasi mai si arriva a quella ridicola opposizione eroe/cattivo tipica delle peggiori pellicole hollywoodiane.

In ogni film orientale che ho visto, senza alcun dubbio posso dire che almeno un personaggio, se non tutti, nutriva dubbi e combatteva contro qualcosa che, più che una minaccia esterna (il cattivo di turno), era invece interna. La paura dunque di essere quel puntino nero in mezzo allo yin.

Soltanto leggendo queste confuse parole, scritte concitatamente, mi rendo conto che quanto voglio comunicare potrebbe non essere chiaro. Proverò allora a farmi strada con una breve sinossi del film “Infernal Affairs”.

A Hong Kong, ci sono due poliziotti. Uno è un agente sotto copertura nella banda di un potente boss locale, l’altro è un ispettore sulle tracce della stessa banda che però è al soldo dello stesso boss. Tra pedinamenti, intercettazioni e sparatorie tutti i nodi verranno al pettine.

Si vedono bene le due palline sperdute in quest’opera: due uomini contrapposti che vestono ognuno i panni dell’altro. Un film rivoluzionario nel genere dei gangster movies. Infatti, parallelamente allo scontro classico tra polizia e mafia, aggiunge il thriller con la ricerca delle rispettive talpe e l’introspezione dei protagonisti alle prese con la loro coscienza.

Si tratta di un film forse complicato per il genere, ma stupisce che, nonostante la complessità, la suspence non venga mai a mancare. Anzi, è rincarata da una crescente incertezza da parte dello spettatore che si trova a fare il tifo per tutti e due gli infiltrati, non sapendo fino a che punto le loro anime sono marce.


Queste sono le grandi storie che il cinema orientale e mondiale sanno consegnare allo schermo e, nella filmografia dell’Estrema Asia, si possono trovare tantissime valide opere. Ma ho scelto “Infernal Affairs” per un motivo.

La sua trama non vi è forse familiare? Il celeberrimo “The Departed” di Martin Scorsese è il remake statunitense di “Infernal Affairs”. Un ottimo film con interpretazioni da brividi e con l’aggiunta del titanico personaggio di Jack Nicholson, un'innovazione rispetto alla sceneggiatura originale e che, in senso buono, “occidentalizza” il film creando un personaggio definibile “super-cattivo”, carismatico nella sua malvagità.

Ma nonostante sia un buon remake, “The Departed” è inferiore a “Infernal Affairs”, più rivoluzionario e introspettivo rispetto alla pellicola statunitense.

Dai racconti di cinefili più grandi di me, so che alla sua uscita (2001) il film di Hong Kong ha avuto il suo moderato successo pure nei cinema occidentali, ma oggi nessuno lo ricorda più.

L’uscita nelle sale e la successiva fama di “The Departed” hanno offuscato la memoria del suo migliore antesignano. Infatti, il pubblico medio ritiene che il film di Scorsese sia un’opera in tutto e per tutto originale. Ho avuto prova di ciò parlandone con un gruppo di amici, stupiti tutti dalla rivelazione: “The Departed” è un remake.

Non so come mai “The Departed” abbia surclassato “Infernal Affairs”. Quasi mai un rifacimento ottiene più successo dell’originale, eppure in questo caso è successo. Forse nel capolavoro di Hong Kong mancavano attori occidentali famosi e la giusta pubblicità.

Oppure,a mio parere più probabile, c’è una certa diffidenza del pubblico verso il cinema orientale, preferendo banali film d’azione con Jason Statham e Gerard Butler a degli action thriller ben fatti, lontani però dalla nostra sensibilità occidentale.

Ebbene sì! I film orientali sono diversi e il mio consiglio è il seguente, per il cinema come per tutte le Arti: non lasciatevi precludere niente di diverso. Non per merito o un giusto riconoscimento (“Infernal Affairs” è comunque molto popolare in Cina), ma perché, non sperimentando culture diverse proposte nelle opere d’arte, sarete voi quelli che ci perdono qualcosa.



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