Cos’è veramente epico? A questa domanda si può rispondere in molte maniere, ma nella mente dei più credo che compaia una semplice immagine: la guerra.
A partire dalla Bibbia fino a Guerre Stellari, passando per Shakespeare e il Signore degli Anelli, è lo scontro finale, quello catartico e risolutore a dare il sapore di epicità all’opera d’arte. Io credo, però, che si possa creare qualcosa di epico anche senza inserirci una guerra.
La maggior parte dei film di oggi sbaglia il concetto di cos’è la vera epica, confondendola con una costante lotta tra il buono e il cattivo, sottomettendo di fatto la trama allo scopo di vedere esplosioni e massacri. Spesso, troppo spesso, quando c’è da girare un film registi e sceneggiatori affidano la loro pellicola nelle mani di abili effettisti che riescono a creare scene di battaglia spettacolari, ma non veramente epiche.
È vero, Achille ha combattuto contro Ettore, ma ha anche pianto in riva al mare, ha avuto pietà di Priamo e ha riso e giocato con Patroclo. Dov’è questo spettro di sentimenti e azioni nel cinema? E, soprattutto, cosa è veramente epico?
È epica un’opera grande, di ampio respiro, con diversi toni e generi e una vasta galleria di personaggi che rappresentano ciascuno una diversa sfumatura umana. La storia non deve mai apparire pretestuosa, ma deve seguire l’impresa del singolo (l’eroe), così come anche quella della massa di cui fa parte.
Seguendo questa definizione, un’opera epica sarà lunga e complessa e quasi impossibile da portare sul grande schermo a meno di dividerla in delle parti (Star Wars, Il Signore degli Anelli, Harry Potter, Il Trono di Spade, ecc.)
La divisione in parti non è una regola, ma trattandosi di un’opera inevitabilmente vasta sarà quasi impossibile da trasporre in un singolo lungometraggio senza farne perdere quel senso di grandezza e di epicità che le deve essere proprio. Questo è il primo precetto da cui sfugge Cloud Atlas: un’unica pellicola della durata di quasi tre ore che riesce però a dire tutto quello che deve comunicare senza mai risultare noioso o troppo concentrato.
Il film è un’epopea di lotta tra bene e male, diviso in sei storie che vanno dal 1849 al 2321 e interpretato da un cast di dieci attori ricorrenti che impersonano via via personaggi completamente diversi (mascherati da un ottimo make-up), ecco qui delle foto esplicative:
Il motivo della scelta ardita di travestire continuamente gli attori si può trovare nella locandina dello stesso film: “Un'epica storia del genere umano nella quale le azioni e le conseguenze delle nostre vite si intrecciano attraverso il passato, il presente e il futuro, come una sola anima è trasformata da un assassino in un salvatore e un unico atto di gentilezza si insinua nei secoli sino ad ispirare una rivoluzione.”
Sono parecchi i temi toccati e uno di questi è quello della vanità del corpo rispetto all’anima. Il fatto che gli attori interpretino personaggi sempre diversi senza però perdere quel guizzo uguale che si riverbera nei secoli e nelle nuove storie dimostra allo spettatore come le cose che sembrano importanti (in questo caso, banalmente, l’aspetto fisico) siano piccolezze di poco conto paragonate all’Eternità che questo film prova a mettere in scena.
Ma i costumi e il make-up (seppur ottimi) non sono tutto in una pellicola del genere. Trattandosi, come scritto sopra, di un colossal di quasi tre ore e antologico, tutti i reparti giocano un ruolo fondamentale per dare ritmo ad un progetto così ambizioso. La colonna sonora, la fotografia, la regia, la sceneggiatura, il montaggio e la recitazione sono impeccabili e la cosa che più colpisce è che lavorano assieme come un’orchestra, ponendo gli accenti o accelerando nei momenti del film in cui è giusto farlo.
Inoltre, stupisce il tono del film o, meglio, i toni del film poiché ogni episodio è un genere a sé. I registi (Tom Wyker e le sorelle Wachowski), autori ormai affermati, passano con entusiasmo da una storia all’altra, esplorando la commedia, la fantascienza, il dramma storico e il melodramma, con l’abilità da professionista affermato e l’energia sperimentale di un esordiente.
In conclusione, il progetto era ambizioso, la realizzazione perfetta. Con un film del genere, diviso in capitoli eppure estremamente unitario, ci si dovrebbe aspettare un successo al botteghino, gli applausi della critica e almeno qualche premio. Questo era ciò che gli auguravo io visionandolo per la prima volta in sala, il giorno dell’esordio.
Invece, Cloud Atlas arrivato nelle sale italiane nel gennaio del 2013, è stato uno dei più grandi flop al botteghino di tutti i tempi. La critica l’ha accolto freddamente con qualche sparuto elogio e, quasi immediatamente e con una malcelata fretta, è caduto nell’oblio. Forse noi popolo-che-guarda-i-film non siamo più abituati a film come Cloud Atlas, oppure (chi lo sa) non lo siamo mai stati.
Tuttavia, a me qualcosa è rimasto di questo film e, se ripenso a quello che ho provato alla fine della prima visione, ricordo che ho sentito un vuoto, non una mancanza; poiché questo film mi ha liberato di qualcosa nell’animo che non sapevo di avere (vera e propria catarsi).
Appena le luci della sala si sono accese, abbagliandomi, sono uscito dal cinema e ho scrutato il cielo notturno pensando all’epicità e grandezza di qualunque vita umana.
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