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A come Anderson (prima parte)

Paul Thomas Anderson: uno dei più grandi registi contemporanei


Difficile immaginare il panorama cinematografico attuale senza la presenza di Paul Thomas Anderson. Il regista californiano è sempre stato in grado di diversificare la sua forma, sguazzando qua e là fra i generi, ma mantenendo una qualità estetica ed una densità di contenuti forse unica al giorno d’oggi. Inoltre, PTA è stato in grado di emanciparsi dai propri maestri, pur mostrandosi sempre devoto ad un certo tipo di cinema di qualità. Per quanto concerne la prima parte di carriera (da Sidney a Ubriaco d’amore) si riconoscono le influenze di Altman e di Scorsese, mentre nella sua seconda parte sono Welles e Kubrick a dominare.



Tra postmodernismo e indipendenza

L’esordio di Anderson come regista avviene nel 1992 con il cortometraggio Cigarettes and Coffee. Il corto, della durata di 20 minuti, viene finanziato con 20000 dollari e inviato al Sundance Festival. Il progetto piacerà così tanto che l’istituto omonimo incoraggerà Anderson a sviluppare le proprie idee sulla lunga durata. Da qui nasce Sidney (1996). La pellicola rappresenta l’incrocio tra il neo-noir, il postmodernismo ed i primi accenni di una tecnica registica formidabile. L’intreccio è ispirato al genere noir, ma si possono osservare una scrittura elaborata e dialoghi in puro stile Tarantino (i due registi sono grandi amici, oltre ad avere esordito praticamente negli stessi anni). Contemporaneamente, è chiaro l’uso quasi ossessivo di piano sequenza e whip-pan (tecnica che prevede un rapido movimento di macchina senza alcun taglio in fase di montaggio). Inoltre, è interessante il dualismo tra caso-destino, una delle tematiche che più permea il cinema del Nostro. Tuttavia, alcuni meccanismi sono ancora acerbi: non sempre i rapidi colpi di scena convincono ed i personaggi restano in certi momenti ancora troppo sfumati. Non mancano però i momenti di grande cinema: la scena in cui Samuel Jackson (attore feticcio di Tarantino) gioca al casinò è semplicemente splendida, così come gli “interventi risolutivi” di Sidney.

Appena terminato il film, PTA si concentra immediatamente sul film successivo, Boogie Nights (1997).

Boogie Nights rappresenta la consacrazione del regista tra il pubblico e la critica. Rare volte nella storia del cinema si è potuto osservare un’ascesa qualitativa tanto rapida, nonché una tanto rapida approvazione popolare. Il film vuole rappresentare un affresco (termine quanto mai azzeccato per diverse opere di Anderson) del mondo del porno tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80.

Il materiale narrativo è enorme, come dimostrato dalla lunghezza di ben 156 minuti. PTA mira a mostrare strutture complesse: il personaggio principale Eddie Dirk Diggler, i personaggi che ruotano attorno a lui come amici, produttori e colleghi e i rapporti tra gli stessi durante il film subiscono continui cambiamenti, evoluzioni ed involuzioni. Un film che si potrebbe tranquillamente definire dionisiaco, dove la vitalità trabocca attraverso una scrittura mai fine a sé stessa ma sempre pronta a sorprendere e a disorientare lo spettatore. Ascesa, caduta e tentativo di risalita di Eddie sono mostrati attraverso un occhio nostalgico e compassionevole, ma non senza una grossa ironia ed una forte provocazione. La domanda insita nel film è chiara: è possibile nel cinema autoriale riuscire a raggiungere lo stesso clima di libertà del cinema porno di fine anni ’70? Un accostamento indubbiamente audace, ma la sfida è sicuramente vinta.

Il successivo Magnolia rappresenta una rapida svolta, almeno per quanto riguarda contenuti e genere. La vita per la vita viene sostituita da un confronto drastico e continuo tra vita e morte attraverso 9 storyline che andranno ad intrecciarsi e sbrogliarsi più volte. Magnolia è forse il film postmoderno per eccellenza, nonché un film di natura prettamente corale. In un labirinto alla Borges, nel quotidiano troviamo il sottile filo di esistenze svuotate di un senso che è rivelato solo alla morte, sia essa fisica o morale. Il film si scompone nel bipolo tra segreto e rivelazione, innocenza e colpa, caso e destino. Anderson dirige quella che è a tutti gli effetti una partitura, guidata soprattutto dagli interpreti. Un cast a dir poco stellare, a partire da un sorprendente Tom Cruise fino al sempre presente Philip Seymour Hofman. Gli attori interiorizzano profondamente la storia e mostrano la loro capacità recitativa al meglio delle loro possibilità . PTA si dimostra un burattinaio capace di dirigere le sue marionette e, allo stesso tempo, abilissimo a seguire i suoi burattini. La regia, tra piani sequenza mozzafiato ed un montaggio perfetto, dimostra di essere già arrivata non solo alla maturità, ma allo splendore. La celeberrima sequenza della pioggia di rane, dal chiaro simbolismo biblico, porta con sé una carica emotiva e a una capacità di controllo della drammaticità notevole. Un dramma che si risolverà con la compassione ed il perdono: due parole che calzano a perfetto per definire le caratteristiche del cinema di PTA a questo punto della carriera. Il linguaggio cinematografico di Anderson riesce comunque a rimanere estremamente pop.


Non è casuale l’uso della parola pop! Tre anni dopo in Ubriaco d’amore (2002), il californiano dirigerà un film con uno degli attori più pop di sempre: Adam Sandler. Ubriaco d’amore è una splendida dichiarazione di indipendenza. Anderson non mira a fare una banale commedia romantica, bensì vuole stupire. La sregolatezza della regia, quasi guidata da un magnifico sonoro, si coniuga alla sregolatezza emotiva dei personaggi (il personaggio di Sandler soffre di crisi di rabbia e disturbi dell’umore). Un film leggero ma mai superficiale, da guardare con un sorriso e con l’occhio della compassione.





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