La mia esperienza in Capanna è iniziata a marzo del 2020, dopo essere tornata da un viaggio in solitaria in Portogallo. Ogni anno a noi ragazzi scout, i capi ci affidano un servizio da svolgere e questo per la comunità scout può essere traducibile in un periodo di volontariato. Dunque la mia esperienza in Capanna è cominciata in primo luogo come un servizio, dopodiché ha preso nella mia testa le sembianze di un’avventura tra me, le altre persone coinvolte e la mia futura carriera lavorativa. Studiando per diventare educatrice socio-culturale, la Capanna, e ciò che ruota attorno ad essa, è concime per apprendere in partenza le dinamiche che avvengono nell’ambito del sociale.
L’utilizzo della parola concime non è usato a caso. Come scriveva De André: ‘’Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior’’, ed è un po' la metafora che si può collegare a chi ha fatto vita di strada, si tocca il fondo e si rinasce, con tutte le debolezze annesse al gambo del fiore. Mi è stato spesso domandato il perché ‘’perdessi tempo’’, perché ‘’non mi concentrassi su cose importanti’’. Io stessa mi sono domandata il perché avessi scelto di contribuire ad aiutare. Sono domande a cui non riesco a dare risposte, ed è qui che si insinua il cruccio, a parer mio. Il non sapersi rispondere, non è sintomo di ignoranza, ma di ricerca.
Io sono in ricerca, sono io stessa a star facendo un percorso (relazionale, educativo, pseudo-spirituale) proteso a una direzione indefinita e non ancora conosciuta, ma comunque con volontà di continuazione. Ho individuato ad ogni modo una risposta, più che valida, per cui sono una volontaria della Capanna di Betlemme: le persone che incontriamo richiedono aiuto, che sia esso tacito, urlato a gran voce o preteso con imposizione.
Una di queste persone si chiama Nino, viene dal Ghana, ed è per metà etiope. Non si sa con esattezza la sua età, da quanto tempo è in Italia, e il suo passato è confuso, nonostante lo conosca da ormai un anno. Vive in strada. Dopo essere uscito dal carcere le stazioni sono state le sue case. La prima volta che vidi Nino, mi parve subito un uomo violento ed incontrollabile.
Ci trovavamo come equipe di UDS alla stazione di Rimini. Nino ci accolse urlando e alzandosi da una panchina su cui stava seduto insieme ad altri signori che stavano in strada. Ci iniziò a raccontare di aver litigato con un ragazzo di origine marocchina. Nel mentre di cui ci parlava dell’accaduto iniziò ad agitarsi e a cercare un coltello che pensava di aver nascosto in un bidone. Nino quella sera aveva bevuto, ma non è un bevitore occasionale, è un alcolista, e i segni che l’alcool ha lasciato su di lui sono presumibilmente anche la matrice dei suoi scatti d’ira incontrollabile. L’alcool è una tossicodipendenza, e come tale partecipa all’insorgenza o al peggioramento di varie patologie di natura psichiatrica.
Gli amici di Nino hanno chiesto a noi volontari di aiutarlo, perché il suo temperamento aggressivo non solo ha causato danni a lui in prima persona, ma a loro stessi. La polizia ferroviaria di Rimini conosce chi frequenta e bazzica nei luoghi della stazione e in molteplici occasioni ha intimato Nino e i suoi amici a dover mantenere un ‘’profilo basso’’ onde evitare il Foglio di Via dalla stazione.
Pochi mesi dopo il primo incontro con Nino, da Rimini si trasferisce alla stazione di Cattolica, dove la situazione non tende a migliorare. Nino ha solo fogli stracciati di denunce per smarrimento di documenti, il suo permesso di soggiorno è scaduto e la sua residenza non è nel Comune di Rimini. In aggiunto a questo profilo catastrofico, si è beccato il Foglio di Via da Rimini e varie denunce per aggressione. I progetti legati alla sua persona devono inoltre comprendere il fattore della sua dipendenza e dei suoi problemi psichici, dunque, come si può aiutare Nino?
Il percorso insieme a lui è iniziato nel momento in cui ci siamo avvicinati a lui, facendogli capire che avremmo potuto aiutarlo, sebbene i tempi burocratici richiedano una lunga attesa. Dopo di che abbiamo iniziato a darci appuntamento la mattina, con la promessa (non sempre mantenuta) di cercare di ridurre al minimo le bottiglie di vino. Al momento il percorso di Nino non ha ancora effettuato una svolta e nell’attesa di inserirlo in un progetto di inserimento vi ho raccontato una piccola parte della sua situazione attuale.
Nino è una delle tante persone che si è persa, vive in un limbo offuscato dall’alcool e dalle difficoltà che la vita in strada richiede. La solitudine, la monotonia, l’assenza di stimoli che ti spingano a cambiare la routine che ti inghiotte dal momento in cui ti svegli fino al momento in cui ti corichi. Nino, i suoi amici, i suoi ‘’compagni di strada’’ hanno perso casa, per svariati motivi, e questa assenza comporta una perdita di fiducia nella società, una perdita del senso che si può dare alla vita, una perdita degli affetti, della cura verso sé stessi, della voglia di ricominciare da capo, come un bambino che deve reimparare a camminare.
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