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Non lasciatevi rubare mai i vostri sogni

Molte volte mi chiedo perché non abbia finito l’università nei tempi giusti. Non certo per incapacità intellettive! Arrivata a un’età non più facilmente dichiarabile, dove una degna sinapsi cerebrale è diventata un evento epifanico, sono certa di ricordare un tempo in cui studiare mi era facile.


Dopo i primi quattro anni canonici di corso di laurea previsti dal mio vecchissimo ordinamento, mi mancavano solo cinque esami a terminare. Praticamente quelli che avevo aggiunto in più per ottenere un doppio indirizzo. I seguenti trent’anni, invece sono stati impiegati a ripagare le tasse e affrontare almeno un esame ogni sette anni, termine ultimo per non far decadere tutta la carriera.

Quindi diciamo che per circa un trentennio, ogni sette anni, un po' come succede ai Vulcaniani in Star Trek, cadevo anch’io in un imbarazzante e illogico innamoramento. Il mio purtroppo solo accademico. Mi affacciavo alla vita universitaria speranzosa e piena di ottime intenzioni per sostenere gli esami mancanti e porre termine a questo destino, cosa, che per fortuna, non è mai successa!


Per fortuna? Eh sì, ora la posso anche considerare il tutto anche così! Ho infatti avuto il privilegio di assistere in questo trentennio, durante le mie sporadiche incursioni in ateneo, allo straordinario cambiamento del mondo universitario, tecnologico ed istituzionale. Ho avuto il privilegio di aver condiviso ansie, informazioni, speranze di tanti “colleghi” studenti di generazioni diverse che ho incontrato, e a cui ho spesso chiesto aiuto perché, proprio a causa dei cambiamenti, mi ritrovavo eternamente “persa” nell’Alma della Mater Studiorum.


Il tempo è galantuomo. infatti, ora che sto finendo di scrivere la mia tesi e sono tornata a vagare nei meandri burocratici universitari, i miei colleghi studenti sono ancora più gentili. Privilegio dell’età! Ormai, non appaio più come una giurassica fuori corso che li infastidisce con domande la cui ovvietà è per loro sconcertante, ma ricordo più di una mamma smarrita. Forse, la classica prozia schiacciata dalla propria inadeguatezza al moderno, eterna estranea al proprio mondo. Insomma, sono finalmente diventata una figura che ispira tenerezza a cui si elargisce con piacere informazioni o anche solo un sorriso incoraggiante. Vi sembra imbarazzante? Credete lo è! Imbarazzante però in maniera sublime, tanto da rimpiangere il tempo in cui gli studenti si offriranno di aiutarmi per attraversare la strada o a portarmi i libri, possibilità che mi saranno sicuramente tolte dell’ineluttabile destino che mi porterà alla laurea.


In fondo, il senso della vera avventura sta nel viaggio e quasi mai nella metà. Ripensando al mio viaggio, eccomi che mi vedo sul finire degli anni ottanta in un’aula del Magistero (ora scienze della formazione n.d.r.) a sostenere un esame pedagogico-musicale fuori facoltà, dove in quelle austere aule di Via Zamboni era possibile incontrare personaggi del calibro del musicologo Mario Baroni. Fu proprio durante un suo appello che ebbi l’onore di assistere all’esame di una signora molto anziana, che si rivolgeva all’esimio professore esasperato e al contempo divertito, con frasi del tipo: “ma caro figliuolo, ceda via, non sia così tirato col voto, merito di più, nevvero, perché sa ho studiato tanto!” Ricordo che dopo aver ottenuto il voto che la signora ritenne a lei consono, estorto a forza di “ma caro figliuolo” all’attonito professore, voltandosi finalmente a noi disse con tono solenne e dolce al contempo che assistevamo e che a stento trattenevano le risa : “Lo so, ragazzi, lo so. Ma ricordate, e ricordate bene proprio perché ora siete giovani che nella vita, per quanto possiate essere criticati o osteggiati, non lasciatevi rubare mai i vostri sogni!”


Questa, di tutte le lezioni che abbia mai udito all’università, è la più preziosa, tanto che a volte, ripensandoci, mi sovviene l’idea che forse il vero motivo per cui non abbia ancora finito gli studi sia per concedermi il lusso di crogiolarmi nella promessa lusinghiera di quei sogni, sempre vivi e giovani proprio perché mai raggiunti.


Poi mi rendo conto che è solo una scusa, e sospiro conscia della cruda realtà dei fatti: sono solo una perditempo!

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