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Camilla Ronchi

Eurovision e Europa

L'Eurovision Song Festival è finito. E per la prima volta dopo trent'anni abbiamo vinto.

Ma soprattutto, forse per la prima volta da quando è nato questo festival, noi italiani l'abbiamo seguito. Per questo dobbiamo sicuramente fare un applauso ai Måneskin, a Damiano che ha conquistato le ragazze di mezzo mondo e alla loro canzone che finalmente ha fatto vedere una faccia diversa del nostro Paese.


Fino all'anno scorso, in Italia l'Eurovision era poco seguito. Molti probabilmente non sapevano neanche che quello fosse in realtà il premio per chi vince il festival di Sanremo. Ma al di là dell'Italia, l'Eurovision è sempre stato un punto di riferimento sia in Europa che nel mondo, una vera e propria occasione per guardarci in faccia tra noi europei (e non solo). Purtroppo, spesso ci dimentichiamo sia dell'Europa che dell'Unione Europea. Di questa cosa che viene sempre fuori quando abbiamo bisogno di aiuto, quando ci sono le elezioni e che dal 1992 ci permette di andare da quel famoso Sanremo a Menton senza passaporto e senza neanche cambiare i soldi che abbiamo in tasca.


Ce ne dimentichiamo troppo spesso di cosa sia l'UE. Un'Unione nata senza una guerra.


Più di 70 anni di pace da noi e in Europa. E’ la prima volta che succede. Abbiamo passato troppo tempo ad ammazzarci a vicenda per due metri di terra e adesso abbiamo avuto finalmente il coraggio di unirci e condividere economia, moneta e cultura.


Noi ci eravamo scoperti italiani solo a Caporetto, quando stavamo in trincea e non ci capivamo tra noi perché ognuno parlava un dialetto diverso senza comprendersi. Allora ci siamo rivolti a Dante, gli abbiamo chiesto cos'è l'italiano e abbiamo iniziato a parlarlo per comprenderci. Abbiamo capito cos'era l'Italia. Abbiamo avuto il coraggio di non tornare alle trincee per creare l'UE.


La crisi, però, ha modificato forse il nostro modo di vedere l’Europa. Quando nel 2008 nessuno sapeva più cosa fare e l'Euro continuava a inflazionarsi, allora sì, forse lì abbiamo capito cos'è questa Unione. Abbiamo avuto fiducia e deciso di unire l'economia di Stati in crisi con quella di Stati floridi economicamente, arrivando persino a cambiare la moneta a tutti in modo che potessero bilanciarsi. Così siamo usciti, più o meno, da quella crisi, e abbiamo capito che questo insieme di Stati forse non era così male.


È la prima volta. La prima volta nella Storia che Paesi diversi decidono di mettersi insieme lasciando spazio alle differenze di tutti. Infatti, Unione Europea non significa annientarci o dimenticare l'essere italiani. Tutte le canzoni dell'Eurovision hanno la loro lingua, la loro sfumatura di significato e alcune rivendicavano la propria origine. Eppure siamo una cosa sola.

Che non è una cosa perfetta. Quest'Unione ha fatto e farà tantissimi errori, ma almeno lì, a un festival musicale, stavamo cantando tutti a squarciagola una canzone ucraina senza capirne le parole. Senza spari, guerre e cose che fino a settant'anni fa, per questa Europa, erano all'ordine del giorno.


E qui c'è forse un altro discorso, ancora più importante, sulla lingua. L'ucraino siamo tutti d'accordo che sia un po' difficile. Infatti di Shum dei Go_a sappiamo fare solo il balletto. L'italiano è la nostra lingua. È la nostra cultura. Probabilmente l'italiano rappresenta anche il nostro modo di pensare. Per sentirci parte di qualcosa, però, dobbiamo riuscire a farci capire e c'è solo un'altra lingua che ci dà questa possibilità. Ci scherziamo sopra, quando ci chiediamo come faremo a trovare dei presentatori che parlino inglese per l'Eurovision del prossimo anno. Tuttavia, la lingua, questa cosa di cui non possiamo fare a meno perché la usiamo per leggere, per parlare, per scrivere e per pensare, è ciò che ci permette di stabilire una connessione.


Forse questo Eurovision l'abbiamo seguito perché quei ragazzi che ci stavano rappresentando, l'inglese lo sapevano bene. Riuscivano a spiegarsi, a farsi capire e a creare relazioni con gli altri Stati. È qualcosa che in anni di politica ancora facciamo fatica a capire. Ci chiediamo perché in Commissione Europea non siamo considerati al pari di altri Stati. Forse dovremmo partire proprio da qui. Perché solo grazie alla lingua c'è la possibilità di sentirsi uniti, di far sentire la propria opinione e di essere ascoltati. L'Italia si è creata quando tutti hanno iniziato a parlare la lingua che sentivano alla radio e alla televisione. Quella lingua era l'italiano, in un mondo che parlava solo dialetto. Adesso quella lingua è l'inglese.


Per questo, per il prossimo Eurovision, speriamo di riuscire a sentirci a little bit closer grazie a una lingua che vogliamo ci unisca. Altrimenti, anche ai vertici della diplomazia, finisce sempre che "loro non sanno di che parlo". In quel caso, riuscire a far sentire la propria voce diventa davvero un problema.

1 Comment


Michele Juch
Michele Juch
Jun 08, 2021

Complimenti a Camilla Ronchi per questo bellissimo articolo!

Sono d'accordo sull'uso dell'inglese come lingua comune di tutti. Comunque dev'essere de-nazionalizzato per diventare davvero internazionale. Mi riferisco in primis all'orologio di 24 ore, il sistema adoperato dalla maggiorparte dei paesi tranne quelli anglosassoni. Ebbene se parliamo in inglese tra di noi europei non diciamo "one pi èm" ma "thirteen hours" e se evitiamo di evitare un'intonazione "troppo" oxfordiana è tutto guadagnato.

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